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VERI E PROPRI PIANI DI GOVERNO SOVRANAZIONALI FUORI DAI CANALI DEMOCRATICI NAZIONALI

Soldi in cambio riforme, cioè in cambio della democrazia interna al paese in difficoltà, con pensanti ricadute sulla popolazione, che pertanto si ritrova a subire interventi sulla propria posizione individuale e sullo stato sociale che non sono frutto delle preferenze politiche espresse tramite le elezioni.
Le chiamano condizionalità o condizioni rigorose, e sono contenute nei cosiddetti memorandum d’intesa, una sorta di programma politico sovranazionale che riguarda tutti i principali ambiti economici e sociali: lavoro, contrattazione collettiva, pensioni, spesa pubblica, settore bancario e finanziario, fiscalità, ecc.

La durata del piano è pluriennale, quindi prescinde dalla prosecuzione del governo che l’ha sottoscritto, e pertanto è destinato a vincolare anche il governo o i governi successivi, in barba a qualsiasi risultato elettorale, che il trattato MES non considera minimamente.
Va inoltre considerato che la durata può essere prolungata per via di ulteriori piani di commissariamento.

Ecco una panoramica dei commissariamenti:

Giusto per farsi una idea, i commissariamenti funzionano così: il paese in difficoltà chiede un prestito, il MES pone le sue condizioni, e per accertarsi che Governo e Parlamento le pongano concretamente in essere, concede il denaro a rate, così da potere esercitare le giuste pressioni specie se trattasi di manovre molto impopolari: non avete tagliato gli stipendi e le pensioni? Non avete aumentato le tasse? Allora niente aiuti.
Dall’analisi dei commissariamenti attuati sino a ora è possibile farsi una idea dell’impatto politico che strumenti come la Troika/MES possono avere sul futuro degli stati europei.

Il caso Grecia

Com’è ben noto, la Grecia è il caso più eclatante di ricorso al MES – ovvero alla Troika nella sua versione primordiale – e di sottoposizione ai piani di commissariamento, che hanno messo a dura prova il popolo ellenico.
Gli anni dell’austerità hanno condotto il paese verso un declino spaventoso: drastico aumento della disoccupazione con un picco al 27% nel 2013, e se si guarda alla disoccupazione giovanile, questa raggiunge addirittura il 56,9%, contrazioni delle buste paga dei dipendenti fino al 40% e durissimi tagli alle pensioni, per citare qualche dato. E poi ancora farmaci introvabili, impennata dei suicidi, nel 2011 in aumento sino al 35 percento rispetto alla media degli ultimi trent’anni, e posti letto per i ricoveri a cifre esorbitanti. Aumentata del 43% la mortalità infantile, con un livello di abbandoni esplosi al 336%. Un disastro umano indicibile.

Ancora, secondo uno studio condotto dall’IME-GSEVEE (Istituto per le Piccole Imprese della Confederazione Generale Professionisti, Commercianti e Artigiani ellenici), il 94,6 per cento delle famiglie ha subito una riduzione media del proprio reddito del 39,47 per cento nel periodo che va dal 2010 al 2014, una famiglia su tre teme di perdere la casa, il 63,7 per cento delle famiglie dichiara di aver ridotto le spese per l’alimentazione, il 90,3 per cento ha tagliato quelle per il vestiario e il 90 per cento ha limitato il budget per il tempo libero (ristoranti, cinema, ecc.).

Ecco due esempi sul modus operandi della Troika/MES:

  • nel 2011 su forte pressione da parte della Troika il governo Papandreou procedette con il taglio del 40% dello stipendio di 30 mila dipendenti pubblici, uno dei tanti provvedimenti di austerità necessari per ottenere la sesta tranche di aiuti;
  • il 12 febbraio 2012 il Parlamento greco, dopo una serie di dibattiti drammatici, votò un nuovo piano di austerity, e il 21 febbraio 2012 l’Eurogruppo diede il via a un nuovo programma di aiuti alla Grecia: 130 miliardi di euro fino al 2014. Tra gli interventi realizzati, il taglio di 25 mila dipendenti pubblici entro la fine del 2013. Il 7 dicembre 2013, il Parlamento greco approvò la legge di bilancio per il 2014 che prevedeva ulteriori tagli alla spesa per oltre tre miliardi. A incidere sull’approvazione delle ulteriori misure era stata la decisione della Troika di rinviare il suo ritorno ad Atene, da cui dipendeva, previa verifica in loco del rispetto di quanto pattuito, la messa a disposizione di un’altra tranche da un miliardo di euro. Si dice che il trio abbia rimandato perché la Grecia avrebbe dovuto rispettare 135 condizioni entro l’autunno, e invece ne aveva attuate soltanto 60;

Il caso Cipro

Il 25 giugno 2012 il governo cipriota inoltrò una richiesta di aiuto al presidente del MES/Eurogruppo, approvata solo a distanza di molto tempo perché si attendeva il responso del Parlamento dell’isola, che il 19 marzo 2013 respinse il provvedimento che avrebbe dovuto autorizzare il prelievo forzoso sui conti correnti, imposto fra le condizioni necessarie (condizioni rigorose di cui all’art. 3 del Trattato MES) per l’ottenimento del prestito di dieci miliardi di euro. Le altre condizioni erano grosso modo le stesse imposte ad Atene: riforme strutturali, privatizzazioni, consolidamento fiscale, ecc., oltre al prelievo forzoso sui depositi bancari di oltre centomila euro custoditi nella Banca di Cipro. Subito dopo il no del Parlamento cipriota, l’Eurogruppo, nella nuova veste di MES, rinnovò l’offerta ma non la deliberò, ammettendo così implicitamente che, se non si fossero messe le mani sui risparmi dei cittadini, non avrebbe fornito alcun supporto. Si prospettava l’ipotesi di una fuga di capitali,33 e la reazione dei mercati alla scelta della maggioranza parlamentare finì per aggravare l’instabilità finanziaria di Cipro; anche la Banca Centrale Europea lanciò un ultimatum al governo dichiarando che avrebbe garantito il suo sostegno sino a lunedì 25 marzo. A tutto ciò si aggiunse il declassamento del rating di Cipro da parte dell’agenzia Standard & Poor’s da CCC+ a CCC. L’isola fu costretta a cedere: nelle prime ore del mattino del 25 marzo, il governo accettò il «papello». Il 24 aprile 2013, pertanto, il Consiglio dei Governatori del MES decise di concedere, in linea di principio, il sostegno alla stabilità; successivamente il Consiglio di amministrazione approvò il dispositivo di assistenza finanziaria e il 13 maggio fu corrisposta la prima tranche di prestito suddiviso in cinque quote, l’ultima prevista per fine 2013. A luglio 2013 il vice-portavoce del governo cipriota annuncia l’accordo sul prelievo forzoso ai correntisti raggiunto tra la Banca Centrale di Cipro e i creditori internazionali: prevede un’aliquota del 47,5 per cento sulle giacenze superiori a 100.000 euro.
Il prelievo forzoso a Cipro ha creato un contenzioso interessante, poiché esprime con chiarezza come l’intricato rapporto tra le istituzioni europee e il MES può tradursi in una deresponsabilizzazione degli attori in gioco. Più nello specifico, sul caso si è espressa la CGE con una sentenza del 20 settembre 2016 (cause riunite da C-8/15 P a C-10/15 P), che trae origine dal ricorso presentato da alcuni cittadini ciprioti che hanno chiesto l'annullamento dei punti da 1.23 a 1.27 (elencati nel paragrafo 10 della sentenza) del protocollo d'intesa stipulato il 26 aprile 2013 tra la Repubblica di Cipro e il MES.
In conseguenza dell'accordo siglato tra il governo di Cipro e il MES, i ricorrenti avevano subito il prelievo forzoso, quindi una riduzione sostanziale del valore dei propri depositi (paragrafo 21). Essi chiedevano che la Commissione e la BCE versassero loro un'indennità equivalente alla diminuzione del valore dei depositi, pretendendo inoltre che i citati punti del protocollo d'intesa venissero annullati.
In estrema sintesi, la CGE conferma quanto già disposto dal tribunale cipriota, la cui decisione è sostanzialmente basata sul fatto che il ruolo della Commissione e della BCE nell'ambito dell'accordo raggiunto con il MES non implica alcun potere decisionale, ed il governo cipriota ha infatti raggiunto un accordo con il MES e non con le istituzioni europee. Il ruolo della Commissione e della BCE è stato di mera collaborazione. Pertanto, a nessuna delle due istituzioni può essere addebitata alcuna responsabilità risarcitoria. Questo non perché in linea teorica non sia possibile addossare alle stesse alcun tipo di responsabilità, in quanto la Commissione resta pur sempre custode dei trattati fondamentali, e quindi deve astenersi dal firmare protocolli d'intesa che siano in violazione del diritto primario. La CGE conclude che comunque per addebitare all' UE la responsabilità extra-contrattuale debbano verificarsi una serie di presupposti, che nel caso in questione non sono Stati rilevati.

Il caso Spagna

Riguardo al commissariamento della Spagna, questo era incentrato sulla crisi bancaria – mentre quello greco sul debito – quindi il protocollo d’intesa era per lo più incentrato su questo e sulle riforme del settore bancario e finanziario.
Emerge tuttavia un aspetto non secondario che vale la pena di evidenziare, e cioè che il pensiero comune secondo cui la Spagna non ha fatto austerità e politiche a questa correlate (per esempio le riforme sul lavoro) non coincide esattamente con la realtà.
Vero è infatti che il protocollo d’intesa non prevede direttamente tagli alla spesa pubblica, agli stipendi, ecc., ma leggendo con attenzione si può comprendere come in realtà tra i vincoli vi sia un esplicito richiamo alle raccomandazioni. Al paragrafo 31 si legge infatti: “31.
Per quanto riguarda le riforme strutturali, le autorità spagnole si sono impegnate ad attuare le raccomandazioni specifiche per paese nel contesto del semestre europeo.
Queste riforme mirano a correggere gli squilibri macroeconomici, come individuato nell'esame approfondito nell'ambito della procedura per gli squilibri macroeconomici (MIP). In particolare, queste raccomandazioni invitano la Spagna a: 1) introdurre un sistema di tassazione coerente con gli sforzi di risanamento fiscale e più favorevole alla crescita, 2) garantire una minore distorsione fiscale verso l'indebitamento e la proprietà della casa, 3) attuare le riforme del mercato del lavoro, 4) adottare ulteriori misure per aumentare l'efficacia delle politiche attive del mercato del lavoro, 5) adottare ulteriori misure per l'apertura dei servizi professionali, ridurre i ritardi nell'ottenimento delle licenze commerciali ed eliminare gli ostacoli all'attività imprenditoriale, 6) completare le interconnessioni elettriche e del gas con i paesi limitrofi paesi e affrontare il deficit tariffario dell'elettricità in modo globale”.
In tal modo, attraverso il MES, le raccomandazioni, e quindi le riforme, diventano praticamente vincolanti.
La Spagna ha invero ricevuto diverse raccomandazioni europee in tal senso, la cui sequenza temporale deve essere letta alla luce della data riportata nel protocollo d’intesa (memorandum), per cui occorre quanto meno porre l’attenzione sulle raccomandazioni UE del periodo immediatamente precedente e quelle del periodo successivo al 20 luglio 2012:

  • Raccomandazione del Consiglio, del 10 giugno 2011, “sul programma nazionale di riforma 2011 della Spagna e che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità aggiornato della Spagna, 2011-2014”, che contiene espliciti riferimenti alla necessità di realizzare una radicale trasformazione della contrattazione collettiva, interventi sui salari e sul diritto del lavoro, ponendo la produttività e la competitività delle imprese a interesse di rango superiore: “(13) La riforma del mercato del lavoro in atto in Spagna deve essere completata da una revisione dell’attuale sistema di contrattazione collettiva, che è estremamente complesso. La predominanza di accordi a livello provinciale e settoriale lascia poco spazio per i negoziati a livello di imprese. La proroga automatica degli accordi collettivi, la validità dei contratti non rinnovati e l’uso di clausole di indicizzazione dell’inflazione ex-post contribuiscono all’inerzia salariale, precludendo la flessibilità salariale necessaria per accelerare l’aggiustamento economico e ripristinare la competitività. Il governo ha chiesto alle parti sociali di concordare una riforma del sistema di contrattazione salariale collettiva nel corso della primavera 2011 e si è impegnato ad adottare in seguito la legislazione pertinente … Una crescita salariale più elevata e un incremento della produttività inferiore rispetto all’area dell’euro hanno contribuito a un persistente aggravarsi dell’inflazione in Spagna”. Più in generale, il Consiglio ribadisce la necessità di far ricorso all’austerità di bilancio, anche attraverso la riforma delle pensioni con l’aumento dell’età pensionabile: “adottare la riforma pensionistica proposta per innalzare l’età pensionabile e aumentare il numero di anni di lavoro per il calcolo delle pensioni, come previsto; rivedere periodicamente i parametri per le pensioni per tener conto dell’evoluzione della speranza di vita, come previsto, e definire altre misure per innalzare l’età pensionabile effettiva, tra cui la formazione permanente per i lavoratori più anziani”.
  • Raccomandazione del Consiglio, del 12 luglio 2011, “sul programma nazionale di riforma 2011 della Spagna e che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità aggiornato della Spagna, 2011-2014” del 12 luglio 2011. Si specifica tra le raccomandazioni l’attuazione per il 2011 e il 2012 delle riforme sul lavoro e sulle pensioni già richieste.
  • - Raccomandazione del Consiglio “sul programma nazionale di riforma 2012 della Spagna e che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità della Spagna 2012-2015” del 30 maggio 2012. Tra le premesse viene fatto un esplicito riferimento alla riforma del lavoro del 2012 adotta dal governo Rajoy (di seguito un breve commento): “Nel febbraio 2012 il governo spagnolo ha adottato una riforma globale della tutela del lavoro e del sistema di contrattazione collettiva per lottare contro l'elevato tasso di disoccupazione e la forte segmentazione del mercato occupazionale”.

Tutte le riforme del lavoro sono state effettivamente attuate in base alle richieste dell’Europa, in particolar modo quelle del 2012, che fanno ben comprendere la portata delle pressioni delle istituzioni europee e del MES sul governo spagnolo allora in carica. Si tratta di provvedimenti che sono quindi intervenuti su tutti i principali aspetti del diritto del lavoro e della contrattazione collettiva, sulla scia delle riforma attuate nei due anni precedenti.
Va certamente in tal senso citato il Regio decreto legge (Real Decreto-ley) n. 3 del 10 febbraio 2012 (e relativo RD 1483/2012 del 28 febbraio 2012), ossia riforma del lavoro del governo Rajoy, una delle più radicali mai attuate prima. La riforma interviene a modificare radicalmente i principali aspetti del diritto del lavoro e della contrattazione collettiva. Se ne segnalano alcuni tra i più importanti. I licenziamenti, sia quelli individuali che collettivi, vengono facilitati, con riduzione delle relative indennità. Per quanto riguarda la contrattazione sindacale, sulla scia della precedente riforma strutturale del 2011, viene eliminata l’ultrattività dei contratti collettivi, nel senso che decorsi due anni dalla scadenza, il mancato rinnovo ne implica la perdita di efficacia. Vengono favoriti i contratti collettivi aziendali rispetto ai contratti collettivi nazionali, così permettendo alle imprese a livello locale di potere negoziare al ribasso diritti e benefici economici con gruppi ristretti di lavoratori e di sindacalisti, risultando in tal modo indebolito il potere di trattativa dal lato del lavoro.


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