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Lavoro, sindacati e contrattazione collettiva

I sindacati e i lavoratori dovrebbero essere tra i principali oppositori del MES

I commissariamenti del MES (Troika) hanno inciso in modo devastante sul potere dei lavoratori e sul potere sindacale, il cui ridimensionamento è stato uno dei principali obiettivi della nuova organizzazione, e più in generale della nuova governance europea.

Si   tratta dunque di una vera e propria posizione di classe.

Presentato alle masse come un “fondo salva-stati”, come un “prestito”, il MES si è rivelato essere una vera e propria organizzazione politica con obiettivi di governo ad ampio spettro, ben al di là della “salvaguardia della stabilità finanziaria della zona euro”. L’ideologia di fondo dell’organizzazione – in questo senso assolutamente in linea con quella delle istituzioni europee – è quella secondo cui una crisi economica e finanziaria dipenda dai salari troppo alti, e che la contrattazione collettiva sia un fattore di rigidità negativo, che ostacola la produttività e la competitività delle imprese.

I protocolli d'intesa cui si riferiscono gli estratti sono:

Il caso Grecia

In Grecia le riforme del lavoro e l’abbattimento della contrattazione collettiva hanno contribuito a generare un clima di grande insicurezza sociale. Il primo memorandum d’intesa – anche detto «protocollo d’intesa» o «pacchetto politico» – siglato nel 2010 fa un chiaro riferimento alla richiesta di una notevole riduzione dei salari e delle pensioni pubbliche, mediante l’abolizione dei bonus pasquali, estivi e natalizi (ossia la riduzione della tredicesima e della quattordicesima) e la loro sostituzione con un bonus forfettario pari a mille euro per coloro che guadagnano meno di 3 mila euro lordi al mese. Stessa cosa per i pensionati, a cui è stata imposta la sostituzione di tali bonus con uno forfettario di 800 euro per le pensioni inferiori a 2.500 euro lordi.

Tra le indicazioni della Troika, anche la riduzione degli stipendi dei dipendenti pubblici, nonché il taglio dei posti di lavoro. Gli interventi sul lavoro non hanno riguardato soltanto il lato strettamente monetario degli stipendi e il numero di occupati, ma si sono spinti sino a interventi diretti sulla contrattazione collettiva e sulla riforma del sistema di garanzie individuali del lavoro. I salari del settore privato sarebbero dovuti diventare più flessibili, per consentire alle imprese una moderazione del costo dei dipendenti nel lungo periodo. Per raggiungere un simile obiettivo, è stato ritenuto necessario riformare la contrattazione collettiva del settore privato mediante il coinvolgimento delle parti sociali, con ciò mettendo in evidenza come il benestare delle forze sociali sia un elemento strategico essenziale per il controllo del mondo del lavoro nella direzione prevista.

Riguardo alla riforma dei diritti individuali dei lavoratori, il memorandum d’intesa ha mostrato chiaramente l’intento di voler peggiorare le tutele dei lavoratori ellenici. Tra le richieste, l’estensione del periodo di prova, la modifica delle norme sui licenziamenti collettivi e una maggiore possibilità di ricorrere al lavoro a tempo parziale.

È interessante notare il linguaggio «politicamente corretto» degli autori dell’accordo, che si snoda in una dimensione della comunicazione politica che cela la cruda natura dei provvedimenti adottati. In tal senso, in riferimento ai licenziamenti collettivi, non si dichiara che devono essere facilitati ma che devono essere "ricalibrati". Molto interessante anche il costante abbinamento tra l’evidente distruzione del sistema di tutele del lavoro preesistente e il richiamo alla necessità di salvaguardare le fasce più deboli, che è poi il classico mantra neoliberista: privati dei diritti e ricambiati con l’assistenzialismo.

Ancor più esplicito sotto il profilo degli intenti dell’Eurogruppo in materia di lavoro è il memorandum d’intesa del 2012, dove già nelle premesse si chiede la garanzia di un intervento mirato a ridurre il costo del lavoro per favorire la competitività, mediante tagli anticipati ai salari nominali e riforme strutturali del mercato del lavoro. La filosofia alquanto contraddittoria che accompagna il taglio dei salari è che, in tal modo, si disincentiva il lavoro nero, poiché è l’elevato costo del lavoro che giustifica l’assenza di tutele. In tal caso, la legalità altro non sarebbe che un modo per togliere dall’imbarazzo coloro che assumono con bassi salari, ma a norma di legge, e per rendere il precariato una regola generalizzata cui potere attingere con facilità. L’attacco alla contrattazione collettiva e al potere dei sindacati è senza precedenti.

Il governo si impegna a ridurre il costo per dipendente di circa il 15 per cento durante il periodo del programma. Qualora non dovesse riuscirci mediante il dialogo sociale, ossia con il benestare sindacale, il governo si impegna a emanare delle leggi per raggiungere tale obiettivo. A tal fine, le condizionalità contenute nel memorandum d’intesa prevedono riforme che indeboliscono la contrattazione collettiva esistente, con obiettivi specifici che riducono notevolmente la capacità di azione del sindacato a protezione dei lavoratori, in particolar modo sulla determinazione dei salari.

Riguardo al settore pubblico, viene richiesta una riduzione dei costi del personale, sia mediante il taglio delle retribuzioni sia tramite la riduzione del numero di dipendenti di almeno 150 mila unità nel periodo 2011-2015. Vengono posti inoltre dei vincoli alle assunzioni, tra cui la riduzione annuale nelle scuole pubbliche – in particolare, si dice, nelle scuole militari e di polizia e, più in generale, nelle accademie pubbliche –, e si stabilisce il mantenimento della rigorosa applicazione del rapporto 1 a 5 tra nuove assunzioni e cessazioni di lavoro, e di 1 a 10 dello stesso rapporto nelle imprese statali.

Riguardo alla spesa sociale, il prestito è subordinato a ulteriori tagli delle risorse destinate al welfare, tra questi la riduzione delle risorse per l’acquisto dei farmaci ambulatoriali. A ciò si aggiungano ulteriori tagli alle pensioni, da realizzarsi anche attraverso la riduzione del 12 per cento delle pensioni superiori a 1.300 euro al mese. Dello stesso tenore il protocollo d’intesa del 2015, che si limita più che altro a elogiare gli obiettivi raggiunti con le precedenti riforme e a dichiarare la necessità di uno studio sulla loro attuazione sul campo.

La lente d’ingrandimento sulla contrattazione collettiva – preso di mira è anche il diritto di sciopero – e sulle riforme del lavoro viene nuovamente puntata con il memorandum d’intesa supplementare del 18 gennaio 2018. Le limitazioni all’azione sindacale passano attraverso un controllo legale sulla rappresentatività dei contratti collettivi settoriali, e viene inoltre prevista la creazione di un registro digitale per i sindacati. In merito al diritto del lavoro è prevista un’ulteriore razionalizzazione.

Il caso Spagna

La Spagna ha subito bene o male la stessa sorte, sebbene attraverso un meccanismo di pressioni-commissariamento un po' diverso, perché il protocollo d’intesa del MES non prevede direttamente le riforme sul lavoro e sulla contrattazione collettiva, ma rimanda alle raccomandazioni europee.

Al paragrafo 31 si legge infatti: “31. Per quanto riguarda le riforme strutturali, le autorità spagnole si sono impegnate ad attuare le raccomandazioni specifiche per paese nel contesto del semestre europeo. Queste riforme mirano a correggere gli squilibri macroeconomici, come individuato nell'esame approfondito nell'ambito della procedura per gli squilibri macroeconomici (MIP).

In particolare, queste raccomandazioni invitano la Spagna a: 1) introdurre un sistema di tassazione coerente con gli sforzi di risanamento fiscale e più favorevole alla crescita, 2) garantire una minore distorsione fiscale verso l'indebitamento e la proprietà della casa, 3) attuare le riforme del mercato del lavoro, 4) adottare ulteriori misure per aumentare l'efficacia delle politiche attive del mercato del lavoro, 5) adottare ulteriori misure per l'apertura dei servizi professionali, ridurre i ritardi nell'ottenimento delle licenze commerciali ed eliminare gli ostacoli all'attività imprenditoriale, 6) completare le interconnessioni elettriche e del gas con i paesi limitrofi paesi e affrontare il deficit tariffario dell'elettricità in modo globale”.

In tal modo, attraverso il MES, le raccomandazioni, e quindi le riforme, diventano praticamente vincolanti. La Spagna ha invero ricevuto diverse raccomandazioni europee in tal senso, la cui sequenza temporale deve essere letta alla luce della data riportata nel protocollo d’intesa (memorandum), per cui occorre quanto meno porre l’attenzione sulle raccomandazioni UE del periodo immediatamente precedente e quelle del periodo successivo al 20 luglio 2012:

  • Raccomandazione del Consiglio, del 10 giugno 2011, “sul programma nazionale di riforma 2011 della Spagna e che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità aggiornato della Spagna, 2011-2014”, che contiene espliciti riferimenti alla necessità di realizzare una radicale trasformazione della contrattazione collettiva, interventi sui salari e sul diritto del lavoro, ponendo la produttività e la competitività delle imprese a interesse di rango superiore: “(13) La riforma del mercato del lavoro in atto in Spagna deve essere completata da una revisione dell’attuale sistema di contrattazione collettiva, che è estremamente complesso. La predominanza di accordi a livello provinciale e settoriale lascia poco spazio per i negoziati a livello di imprese. La proroga automatica degli accordi collettivi, la validità dei contratti non rinnovati e l’uso di clausole di indicizzazione dell’inflazione ex-post contribuiscono all’inerzia salariale, precludendo la flessibilità salariale necessaria per accelerare l’aggiustamento economico e ripristinare la competitività. Il governo ha chiesto alle parti sociali di concordare una riforma del sistema di contrattazione salariale collettiva nel corso della primavera 2011 e si è impegnato ad adottare in seguito la legislazione pertinente … Una crescita salariale più elevata e un incremento della produttività inferiore rispetto all’area dell’euro hanno contribuito a un persistente aggravarsi dell’inflazione in Spagna”. Più in generale, il Consiglio ribadisce la necessità di far ricorso all’austerità di bilancio, anche attraverso la riforma delle pensioni con l’aumento dell’età pensionabile: “adottare la riforma pensionistica proposta per innalzare l’età pensionabile e aumentare il numero di anni di lavoro per il calcolo delle pensioni, come previsto; rivedere periodicamente i parametri per le pensioni per tener conto dell’evoluzione della speranza di vita, come previsto, e definire altre misure per innalzare l’età pensionabile effettiva, tra cui la formazione permanente per i lavoratori più anziani”.
  • Raccomandazione del Consiglio, del 12 luglio 2011, “sul programma nazionale di riforma 2011 della Spagna e che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità aggiornato della Spagna, 2011-2014” del 12 luglio 2011. Si specifica tra le raccomandazioni l’attuazione per il 2011 e il 2012 delle riforme sul lavoro e sulle pensioni già richieste.
  • Raccomandazione del Consiglio “sul programma nazionale di riforma 2012 della Spagna e che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità della Spagna 2012-2015” del 30 maggio 2012. Tra le premesse viene fatto un esplicito riferimento alla riforma del lavoro del 2012 adotta dal governo Rajoy (di seguito un breve commento): “Nel febbraio 2012 il governo spagnolo ha adottato una riforma globale della tutela del lavoro e del sistema di contrattazione collettiva per lottare contro l'elevato tasso di disoccupazione e la forte segmentazione del mercato occupazionale”.

Tutte le riforme del lavoro sono state effettivamente attuate in base alle richieste dell’Europa, in particolar modo quelle del 2012, che fanno ben comprendere la portata delle pressioni delle istituzioni europee e del MES sul governo spagnolo allora in carica. Si tratta di provvedimenti che sono quindi intervenuti su tutti i principali aspetti del diritto del lavoro e della contrattazione collettiva, sulla scia delle riforme attuate nei due anni precedenti.

Va certamente in tal senso citato il Regio decreto legge (Real Decreto-ley) n. 3 del 10 febbraio 2012 (e relativo RD 1483/2012 del 28 febbraio 2012), ossia riforma del lavoro del governo Rajoy, una delle più radicali mai attuate prima. La riforma interviene a modificare radicalmente i principali aspetti del diritto del lavoro e della contrattazione collettiva. Se ne segnalano alcuni tra i più importanti.

I licenziamenti, sia quelli individuali che collettivi, vengono facilitati, con riduzione delle relative indennità. Per quanto riguarda la contrattazione sindacale, sulla scia della precedente riforma strutturale del 2011, viene eliminata l’ultrattività dei contratti collettivi, nel senso che decorsi due anni dalla scadenza, il mancato rinnovo ne implica la perdita di efficacia. Vengono favoriti i contratti collettivi aziendali rispetto ai contratti collettivi nazionali, così permettendo alle imprese a livello locale di potere negoziare al ribasso diritti e benefici economici con gruppi ristretti di lavoratori e di sindacalisti, risultando in tal modo indebolito il potere di trattativa dal lato del lavoro.

Il caso Cipro

Sulle riforme del lavoro il protocollo cipriota è molto esplicito sulla riduzione di salari e stipendi. In particolare, al paragrafo 4 vengono descritti in modo piuttosto esplicito degli interventi in materia di indicizzazione salariale, orientati a soddisfare le esigenze di competitività e di produttività dell’economia:

4.1. Per garantire che la crescita salariale rispecchi meglio gli sviluppi della produttività del lavoro e della competitività, sia in fase di espansione che di recessione, le autorità cipriote stanno riformando il quadro di fissazione dei salari. Entro il quarto trimestre del 2014 sarà perseguito un accordo tripartito con le parti sociali per la sospensione dell'indicizzazione salariale nel settore privato fino al 2016 e l'applicazione successiva del sistema riformato di indicizzazione salariale (COLA) applicabile al settore pubblico (minore frequenza di adeguamento, sospensione in periodi di recessione e indicizzazione parziale)”.

Tagli del personale e degli stipendi sono poi esplicitamente disposti nel settore del pubblico impiego, in un paragrafo relativo alla riduzione della spesa pubblica (paragrafo I.16 del protocollo d’intesa): “Attuare un piano quadriennale predisposto dal Dipartimento della Pubblica Amministrazione e del Personale finalizzato alla soppressione di almeno 1880 posti a tempo indeterminato nel periodo 2013-2016”.

Ai paragrafi 2 e I.33, previsti tagli alle retribuzioni dei dipendenti pubblici.


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