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Focus sul salario minimo

gli interventi del MES e i rischi della Direttiva UE

Anticipando di molti anni la direttiva europea in materia di salari minimi (Direttiva UE 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 ottobre 2022), la Troika e il MES – e quindi anche le istituzioni europee che vi collaborano – sono già intervenute sul tema del salario minimo, con specifiche richieste ai paesi in difficoltà.

Ciò consente certamente di fornire una interpretazione tendenzialmente realistica dell’impatto che la direttiva sui salari minimi (legali) avrà effettivamente sugli stipendi dei lavoratori in ambito europeo.

In tal senso, è di estrema importanza il memorandum d’intesa della Grecia (2010), dove viene esplicitamente prevista una riforma sulla fissazione di un salario minimo a livello nazionale, attenzione, “a tasso unico su base più permanente”, come alternativa e in aperta contrapposizione ai salari minimi fissati in modo eterogeneo – ad esempio come avviene anche in Italia in base alle categorie produttive – poiché, si dice, le differenze tra i minimi contrattuali “non riflettono necessariamente la produttività”.

In poche parole, l’obiettivo è quello di creare un minimo salariale unico, fissato per legge dunque da una politica centralizzata di fatto a livello europeo, non per una migliore tutela dei lavoratori, ma per consentire di favorire la produttività delle imprese in un sol colpo.

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Nella stessa direzione il memorandum d’intesa di Cipro (2012), attraverso cui si intendono direttamente vincolare i salari minimi stabiliti per settore e categoria professionale alle esigenze di competitività delle imprese:

“4.2 Al fine di prevenire possibili effetti negativi sulla competitività e sull'occupazione, le autorità cipriote si impegnano a che, durante il periodo del programma, qualsiasi modifica del salario minimo per specifiche professioni e categorie di lavoratori sia in linea con gli sviluppi economici e del mercato del lavoro e abbia luogo solo previa consultazione con i partner del programma”.

Come si è già avuto modo di spiegare in più occasioni senza nemmeno disturbare i commissariamenti degli anni passati, la direttiva europea che disciplina il salario minimo legale effettivamente consente alle istituzioni europee di iniziare a stabilire le basi per una governance dei salari centralizzata a livello europeo. Questo rischio non viene francamente superato dalle rassicurazioni ai sindacati – e quindi ai lavoratori coperti dalla CCNL – che si leggono tra le righe della nuova normativa. Non a caso, tra i parametri che gli stati devono tenere in considerazione per la fissazione dei salari minimi legali, vi è proprio la “produttività” (art. 5, comma 2):

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Attraverso la lettura dei memorandum d’intesa, si scopre dunque che la direttiva europea non è certo il primo tentativo di regolamentazione centralizzata dei salari in capo alla politica europea. Viene inoltre svelato chiaramente qual è l’effettivo indirizzo politico perseguito in ambito europeo, che è chiaramente quello di vincolare i salari alle esigenze delle imprese in modo generalizzato e su vasta scala, elevando ancora una la produttività e la competitività a interessi di rango superiore rispetto a quelli dei lavoratori, e nel farlo le istituzioni entrano a gamba tesa sul conflitto capitale-lavoro a favore del primo.

Per quale motivo con la direttiva dovrebbe andare diversamente?


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