Si susseguono una dietro l'altra le vertenze di lavoro che coinvolgono decine, centinaia e a volte migliaia di lavoratori, che ormai dilagano in tutti i settori produttivi.

Quelle attuali più note le conosciamo bene o male tutti: i 600 operatori dei call center Almaviva impiegati sulla commessa Alitalia (nel 2016 Almaviva ha licenziato 1666 operatori!), gli 8000 esuberi Alitalia – fatti fuori con una strategia diabolica dal governo che utilizza i decreti per fare quello che nemmeno le più sfacciate multinazionali si azzardano di fare (ne parlo qui) –, i 422 lavoratori della Gkn, 500 lavoratori della Whirlpool, i 400 euberi di Elica, i 321 lavoratori Brioni.

Attenzione, questi sono soltanto i casi più famosi e presenti sul tavolo del Mise, ma le vertenze in atto sono molte molte di più, senza dimenticare quelle degli anni passati.

Non vengono tra l'altro ad esempio spesso considerate “vertenze” quelle che riguardano i cambi appalto, in particolare quelle che si concludono con il passaggio dei dipendenti addetti alla commessa, anche se di fatto a ogni passaggio i lavoratori sono vittime di tagli salariali, di tagli al personale, se non addirittura del licenziamento qualora la clausola di salvaguardia non venga applicata. Nel mondo dei call center i cambi appalto sono una vera e propria strage.

Da aggiungere anche la giungla delle cessioni di ramo d'azienda, con cui centinaia e centinaia di lavoratori vengono fatti fuori dalla grande azienda per essere canalizzati in società di outsourcing il cui mercato si regge proprio sul risparmio del costo del lavoro, con sacrifici via via crescenti per i lavoratori, e per cui appunto i cambi appalto rappresentano la massima espressione.

Le delocalizzazioni non sono altro che il frutto amaro di una politica che ha lasciato e che continua a lasciare allo sbando i lavoratori italiani con una delega praticamente “in bianco” al mondo capitalista.

D'altronde, per quale motivo una multinazionale dovrebbe anteporre gli stipendi dei dipendenti alle esigenze di profitto, quando è il governo stesso – si veda il caso Alitalia Ita – a utilizzare i classici stratagemmi di mercato per far fuori migliaia di dipendenti.

Le prospettive per il futuro sono nere. Perché i nuovi posti di lavoro sono sempre più precari e prevedono stipendi nemmeno lontanamente paragonabili a quelli delle precedenti generazioni.

Nemmeno la qualità del lavoro è più quella di una volta. La tecnologia ha portato indietro le lancette dell'orologio, ai tempi in cui i lavoratori erano meri ingranaggi di complesse macchine produttive che li obbligavano a eseguire lavori ossessivamente standardizzati, alienanti e poco professionalizzanti.

Le grandi fabbriche virtuali di oggi hanno amplificato questa forma di sfruttamento, esasperando i lavoratori soggetti a forme di controllo automatizzate in passato nemmeno pensabili, precarizzando di fatto anche i rapporti di lavoro cosiddetti stabili, a tempo pieno e indeterminato. Alla precarizzazione dei rapporti di lavoro abbiamo affiancato una precarizzazione esistenziale pressoché totalizzante del lavoratore, insomma.

Manca la coscienza sociale e politica sullo stato del lavoro in Italia, ed è questa nuova coscienza di classe che va ricostruita, altrimenti la democrazia e la stessa Costituzione non hanno più alcuna ragione di esistere.

Il potere, sempre più autoreferenziale e chiuso dentro i palazzi dorati, pare abbia perso completamente il contatto con la realtà, quindi non bisogna aspettarsi nulla di buono, che non parta, appunto, da una ritrovata coscienza delle masse.

Leggi l'introduzione al libro “LA LOTTA DI CLASSE NEL XXI SECOLO”

La lotta di classe nel XXI secolo

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