Nelle telecomunicazioni sta accadendo un vero e proprio terremoto. Se ne parla poco e male, eppure da almeno vent’anni tale settore rappresenta il pesce pilota di tutti gli altri ambiti produttivi.
Andiamo al dunque. Dalla rete ai contact center si sta procedendo spediti verso una pesante riorganizzazione che coinvolgerà decine di migliaia di dipendenti.
Per quanto riguarda la rete, come già accennato di recente, le più importanti imprese di telecomunicazioni stanno cedendo o hanno comunicato di voler cedere consistenti parti di attività relative alla progettazione, manutenzione e gestione delle proprie reti di telecomunicazioni, proseguendo lungo il solco già segnato da precedenti operazioni di questo tipo, comunque di portata ridotta rispetto a quelle attuali.
Pare dunque che i colossi delle telecomunicazioni ritengano non più strategiche parte delle infrastrutture di rete preesistenti poiché rese obsolete dall’innovazione tecnologica, e le esternalizzazioni il modo più semplice per disfarsi, pian piano, delle attività, del personale e dei relativi costi ormai ritenuti non più utili al perseguimento del massimo profitto.
Una imponente riorganizzazione, ancora in corso di definizione, la sta programmando TIM, che si dividerà praticamente in due enormi rami di azienda, ServiceCo e NetCo, che verranno acquisiti da due distinte società. Il ramo ServiceCo dovrebbe comprendere ben 17.500 lavoratori con le attività relative ai servizi resi in favore dei clienti Consumer ed Enterprise e alla rete mobile. Mentre il secondo ramo NetCo dovrebbe inglobare addirittura 20.000 lavoratori con attività relative alla rete fissa e orientata al mercato wholesale – in italiano mercato all’ingrosso –, ossia quello rivolto agli intermediari del settore che acquistano i prodotti per rivenderli al cliente finale.
Non è però ancora possibile definire con precisione cosa verrà canalizzato nell’una e nell’altra società, e dunque l’obiettivo concreto dell’operazione. Per questo occorrerà attendere.
Attenzione che solo per quanto riguarda TIM è in ballo un riassetto societario che coinvolge quasi 40.000 dipendenti.
Vodafone ha invece di recente comunicato ai sindacati l’intenzione di cedere alcune attività legate alla rete con quasi 700 dipendenti.
Mentre Wind – almeno per il momento – ha annunciato lo stop alla cessione della propria rete che avrebbe dovuto coinvolgere circa 2.000 lavoratori.
Insomma, è chiaro che sta succedendo qualcosa di grosso e che lo strumento chiave della riorganizzazione siano le cessioni di ramo di azienda e il relativo sistema di appalti.
(Per chi volesse approfondire, in questo libro c’è una indagine approfondita sulle telecomunicazioni e sui call center, dal punto di vista politico, sindacale e lavorativo)
Su quanto le esternalizzazioni possano essere negative per la stabilità occupazionale lo sanno molto bene i lavoratori dei call center, che oggi si ritrovano ad affrontare finanche l’abbandono del CCNL delle Telecomunicazioni da parte di Assocontact, associazione datoriale delle imprese operanti nel settore dei call e dei contact center in outsourcing.
Sembra che l’intenzione sia quella di creare un nuovo contratto collettivo nazionale del lavoro dedicato ai call center, che vista anche la crisi del settore non potrà che andare verso la direzione di un ulteriore livellamento verso il basso di diritti e retribuzioni.
Di conseguenza non si farà altro che normalizzare il processo già in atto di dislivello delle tutele tra gli operatori dei contact center che lavorano come dipendenti delle aziende di telecomunicazione e quelli in outsourcing: solo i primi continueranno difatti a godere delle tutele previste dal contratto delle telecomunicazioni.
Per contro però verrà inasprito il dumping salariale tra i lavoratori coperti dal CCNL Telecomunicazioni e quelli in outsourcing. In sostanza, lavoratori che svolgono le medesime attività avranno ancor di più tutele differenti e verranno messi l’uno contro l’altro.
Giusto un sassolino dalla scarpa: ricordate quando a ogni cessione di ramo e a ogni appalto partiva il coro di rassicurazioni sul fatto che l’outsourcing non avrebbe intaccato l’appartenenza al contratto collettivo delle grandi aziende? Ovviamente bisognava preoccuparsi.
Va detto anche che il mercato dei call center è in crisi da molti anni, e che questa crisi dipende dal fatto che l’innovazione tecnologica e un sistema di regole inidoneo a tutelare il lavoro in Italia ha spinto molte aziende (in questo libro ne discuto in modo approfondito) a spostarsi all’estero dove il costo del personale è nettamente inferiore.
Triste da dire ma credo che la fuga dal CCNL delle Telecomunicazioni sia uno dei capitoli finali della disfatta dei contact center in outsourcing.
Per concludere, è chiaro che la consistente frammentazione del settore delle telecomunicazioni avrà inevitabili ripercussioni sull’unità del potere sindacale e sulla capacità del contratto (o dei contratti) collettivi nazionali di lavoro di mantenere un certo livello di diritti.
Non è dunque solo in gioco questo o quel diritto, questo o quel posto di lavoro ma l’esistenza stessa dei sindacati.