La precarietà invisibile che ti distrugge la vita

Il diritto è il linguaggio del potere, il diritto è l’arma del potere, la più potente che oggi viene utilizzata contro i lavoratori dei paesi occidentali. L’Italia è un esempio lampante.

A fine anno al Mise risultavano aperti ben 149 tavoli di crisi riguardanti vertenze eclatantanti, come quella Mercatone Uno, Almaviva, Ilva e Alitalia, e vertenze meno eclatanti sconosciute alla maggior parte della gente.

Questa però è soltanto la punta compromessa di un gigantesco iceberg che presenta crepe in tutta la sua struttura, talmente profonde da far presagire un crollo dalle conseguenze incalcolabili, magari non immediato ma certamente a breve termine. Una o due generazioni al massimo.

Ecco, quest’iceberg è ovviamente il mondo del lavoro italiano, dilaniato da nuove riforme e “vecchie” norme che consentono oggi al capitale, in particolar modo alle multinazionali, di utilizzare leggi e strategie societarie quasi invisibili al lavoratore, mediante cui è stata svuotata dall’interno la possibilità di potere ottenere un posto di lavoro concretamente stabile.

Per i nuovi assunti il caso più intuitivo è l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che dal governo Monti in poi ha subito modifiche tali da non potere più garantire in molti casi la reintegra nel posto di lavoro in caso di licenziamento ingiusto. I lavoratori rischiano di perdere il posto di lavoro in qualsiasi momento. Tuttavia molti di loro non ne sono consapevoli, ed il motivo è molto semplice: gli viene ripetuto ossessivamente che il loro contratto di lavoro è “stabile”, anche da chi ha fatto la propria fortuna elettorale promettendo di abolire quelle riforme che hanno distrutto l’articolo 18.

Fateci caso, oggi cercano di celare il mal tolto con statistiche dove viene messo in evidenza l’aumento dei posti di lavoro stabili che ormai non sono più tali.

Precari con un contratto di lavoro stabile, insomma, così nessuno se ne accorge, e la verità legale viene celata dietro errate convinzioni e slogan politici bugiardamente antisistema.

Mi è capitato di ascoltare giovani strafelici di avere finalmente ottenuto un contratto di lavoro a tempo indeterminato come papà e mamma.

Non ho avuto il coraggio di dirgli che non solo il loro contratto non è quello dei loro genitori ma che questa precarietà invisibile oggi colpisce anche questi con metodi un tantino più complessi, e dunque ancora meno visibili.

Ne ho parlato tante volte. Quando le grandi aziende hanno in pancia migliaia di posti di lavoro veramente stabili e ben pagati, per intenderci quelli che si potevano avere con il vecchio articolo 18 e con una solida contrattazione collettiva, e il mercato offre lavoratori a basso costo, queste cercano – ovviamente dal canto loro – di buttar fuori i vecchi stabili per assumere i nuovi precari.
Se lo scopre, chi viene precarizzato si incavola parecchio e prova a difendersi, quindi meglio se non se ne accorge.

Per raggiungere tale obiettivo gli strumenti a disposizione delle aziende sono vari, ma ruotano principalmente attorno ad un concetto: esternalizzazione. Lo strumento più potente dal lato dell’impresa poichè nelle sue forme più sofisticate rende quasi invisibile la sua capacità di trasformare un posto di lavoro stabile in un posto di lavoro precario.

Uno dei metodi di esternalizzazione oggi più usati è conosciuto come “societarizzazione”, un termine che sembra non dire quasi nulla al lavoratore poco attento rassicurato dal fatto di lavorare per una multinazionale. Funziona così. Un giorno come tanti ad un lavoratore viene detto che lui e i suoi colleghi saranno trasferiti in una società di nuova costituzione che resterà comunque all’interno del gruppo multinazionali, e magari questa nuova società prenderà il nome della grande holding che si apprestano ad abbandonare. Una volta trasferiti, questi lavoratori guarderanno la busta baga e diranno “poco male! In fondo siamo sempre dipendenti della multinazionale!”. Peccato che non è così. Una multinazionale è formata da tante società più o meno importanti, e la legge italiana non prevede alcuna responsabilità solidale del gruppo nel suo complesso in favore dei dipendenti di una sola di esse, che è pertanto l’unica su cui gravano gli obblighi in favore dei lavoratori. Morale della favola, una multinazionale può produrre ingenti utili e mandare a casa i dipendenti di una società controllata, magari perchè un’altra società del medesimo ha deciso di togliergli la commessa ed affidarla ad un’altra società che ha assunto lavoratori a basso costo.

E’ così che il posto di lavoro stabile dei genitori diventa precario, una volta esternalizzati possono essere fatti fuori o costretti a rinegoziare il proprio salario. Ma per il mondo politico e per le statistiche loro continuano ad essere stabili.

Questa non è teoria, e non si tratta nemmeno di singoli casi, ma è ciò che sta accadendo alla classe media in tutti i settori produttivi.

Un’idea dell’importanza del fenomeno la si può ottenere entrando nelle aule di tribunale, dove ormai migliaia di lavoratori cercano di far valere il proprio diritto alla vera stabilità opponendosi a tali operazioni.

Sarebbe interessante censire le vertenze attualmente in atto, e con un certo stupore potremmo forse scoprire che queste crepe invisibili sono la triste realtà con cui dovremo scontrarci, purtroppo troppo tardi.

Questo articolo è stato letto 1006 volte