L’esternalizzazione del ramo IT Operations da parte di Telecom Italia in favore della controllata SSC.

Quale destino attende i lavoratori ceduti?

Lidia Undiemi

L’annunciata cessione del ramo IT Operations da parte di Telecom Italia comporterà la precarizzazione di 2150 posti di lavoro.

Per comprendere la pericolosità dell’operazione è necessario fare un accenno ai risvolti di carattere legale, aziendale e sociale prodotti dalla politica di outsourcing attuata da Telecom Italia negli ultimi anni.

Dal 2000 ad 2006 Telecom Italia ha ceduto 15 rami d’azienda con circa 2700 lavoratori. Le attività esternalizzate sono riconducibili a svariate funzioni: gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare; fatturazione bollette telefoniche; gestione autoparco; amministrazione del personale; manutenzione hardware e software; gestione logistica; gestione delle polizze sinistri; gestione protocollo, posta ed archivi cartacei; manutenzioni e servizi ambientali; gestione servizi di sicurezza; gestione servizi radiomarittimi.

Quasi tutte le cessioni sono state accompagnate dalla stipulazione di contratti di appalto, attraverso cui la società cedente ha reinserito il risultato dell’attività esternalizzata nel proprio ciclo produttivo.

Molti lavoratori si sono opposti fin dall’inizio alla loro esternalizzazione, ed hanno fatto ricorso al giudice per far valere l’illegittimità del trasferimento.

Si consideri che molti trasferimenti sono sfociati in procedure di mobilità e di licenziamenti collettivi attuate presso le società cessionarie/appaltatrici Tess, Im.Ser, Savarent Fleet Services, Pirelli & Co Real Estate Property, TNT Logistics Italia, HP DCS, Telepost (procedura di mobilità annullata a seguito di lotte sindacali) e Mp Facility. Nella maggior parte delle sentenze si dichiara l’illegittimità delle cessioni, con obbligo di reinternalizzazione da parte di Telecom Italia. Tuttavia, la società ha di fatto reintegrato soltanto una esigua parte di coloro che hanno vinto i ricorsi.

La maggior parte delle sentenze riguardano il primo grado di giudizio, ma sono state già emesse importanti sentenze da parte della Corte di Appello per quanto riguarda le cessioni in favore della società Im.Ser, Mp Facility, Telepost, Savarent Fleet Services e TNT.

Il successo dei lavoratori è dipeso principalmente dalla capacità di restare uniti, attraverso la costruzione di una “rete informativa” che ha permesso di abbattere tutti gli ostacoli derivanti dalla divisione territoriale e societaria che ha guidato tali cessioni.

Nella mediocre era della New Economy, questo è il più grande esempio di lotta vincente basata sulla conoscenza da parte dei lavoratori contro i “poteri forti”, qualunque essi siano.

Poiché stiamo parlando della più grande impresa italiana che ha attuato una colossale politica di esternalizzazione che ha coinvolto migliaia di persone, ci si aspettava che i giornalisti facessero a gara per scrivere articoli di approfondimento sulla vicenda raccontata attraverso le sentenze dei giudici, così magari anche loro si sarebbero accorti dei meccanismi di base che hanno provocato l’aumento indiscriminato della disoccupazione in Italia.

A parte qualche breve articolo di giornale e una puntata di Annozero che purtroppo non è più disponibile sul sito della trasmissione, nessun influente mezzo di informazione ha voluto raccontare la storia dei clamorosi risvolti delle esternalizzazioni attuate da Telecom Italia.

Tv e giornali, purtroppo, si impegnano a diffondere l’immagine dei lavoratori vittime di un sistema quasi inafferrabile che non vale la pena di approfondire, di studiare e di conoscere fino in fondo. L’importante in molti casi è fare “scena”: manifesti, piazze e lavoratori sul tetto.

Gli esternalizzati di Telecom Italia, invece, hanno basato la loro lotta sulla conoscenza, che è risultata vincente, rivoluzionaria e soprattutto in grado di fare chiarezza sulle oscure dinamiche della tanto sbandierata crisi economica.

Dallo studio delle sentenze, contenuto nel dossier redatto e presentato in un convegno a Roma, è emerso il ruolo determinante della complessità dei rapporti societari, delle relazioni commerciali e dei continui trasferimenti di azienda che sviliscono i lavoratori che ricorrono in giudizio. In questa direzione, si è dimostrato che non si è trattato di mere esternalizzazioni, bensì di continui trasferimenti di rami d’azienda (e di aziende) “a catena”, spesso intrecciati fra loro. Per comprendere tale fenomeno sono state analizzate le problematiche giuridiche in tema di responsabilità della capogruppo nei gruppi di società, dato che le cessioni sono state governate nell’ambito di gruppi societari, da cui è scaturita l’acquisizione (formale) di determinati rami d’azienda da parte di società neonate, controllate da realtà imprenditoriali che hanno invece (di fatto) governato il processo di esternalizzazione. Basti pensare ai nomi assegnati alle Newco rispetto alle controllanti, che sono anche potenzialmente idonei a creare una certa confusione fra questi distinti soggetti giuridici. Ad esempio: Savarent e Savarent Fleet Services nell’ambito del gruppo Fiat; TE.SS. rinominata Accenture HR Services appartenente al gruppo Accenture con capogruppo Accenture S.p.a.; nell’ampio contesto della cessione del patrimonio immobiliare i lavoratori sono passati attraverso quattro società fra cui due nominate entrambe Telemaco immobiliare, una S.r.l. e l’altra S.p.a.; oppure le cosiddette “pirelline” (Pirelli & c. Project Management S.p.a., Pirelli & c. Commercial Agency , S.p.a., Pirelli & c. Real Estate Property Management S.p.a. e Pirelli & c. Real Estate S.p.a.) tutte appartenenti al gruppo Pirelli; ecc. L’importanza strategica della Newco per l’impresa controllante è evidente: facendo acquisire l’attività ad una società controllata, la grande impresa ottiene un duplice vantaggio, e cioè quello di non essere la controparte dei rapporti obbligatori relativi all’attività oggetto di cessione (compresi i rapporti di lavoro), e quello di potere usufruire del ramo acquisito attraverso un potere di governo, che le è riconosciuto in ragione del controllo esercitato sulla società cessionaria. Questa forma di “deresponsabilizzazione” della grande impresa è favorita dalla circostanza che nell’ordinamento giuridico italiano il gruppo di società è privo di un’autonoma soggettività giuridica.

E’ stata inoltre rilevata un’altra importante questione, ossia quella relativa all’integrazione delle attività, resa possibile da determinati mezzi di produzione immateriali, che consente a chi esternalizza di non perdere il controllo sull’attività trasferita, e talvolta anche sui lavoratori ceduti. Dall’esame delle numerose sentenze è emerso con chiarezza come, attraverso adeguate strumentazioni informatiche, si può esternalizzare il lavoratore senza esternalizzare la sua prestazione di lavoro. Queste apparenti esternalizzazioni sono punite dalla legge con l’imputazione del rapporto di lavoro in capo all’effettivo imprenditore (cessionario/appaltatore) che esercita, di fatto, il potere di direzione e di controllo sui lavoratori impiegati nell’attività esternalizzata. E’ stata proprio l’applicazione di questo fondamentale principio che ha spinto molti giudici a dichiarare nulla la cessione. In sostanza, è stato dimostrato come la centralità della verifica della qualità imprenditoriale del cessionario/appaltatore consente di punire le false esternalizzazioni, vanificando qualsiasi schema societario finalizzato alla mancata imputazione dei rapporti di lavoro.

Si consideri, tuttavia, che la vittoria dal punto di vista legale dei lavoratori esternalizzati da Telecom Italia non è sufficiente per affermare che si è avuta <<giustizia sociale>>. Basti pensare agli enormi sacrifici che i lavoratori hanno dovuto sopportare per portare avanti le cause: denaro (lo stipendio medio di ognuno di loro è di circa mille euro), tempo ed energie per ricostruire in termini legali la vicenda insieme agli avvocati, nonché disagi psicologici.

A rendere inaccettabile la situazione è il risultato complessivo della vicenda: posto che la maggior parte dei giudici hanno dichiarato illegittime le cessioni, accade che tutti coloro che non hanno agito in giudizio, o che hanno perso il ricorso, devono subire una esternalizzazione che è stata effettuata senza il rispetto dei requisiti stabiliti dalla legge.

La cessione del ramo IT Operations può essere compresa e poi raccontata solo se si tiene bene a mente il contesto di riferimento sopra descritto.

L’11 marzo 2010 si è svolto l’incontro sindacale relativo alla procedura sindacale ex art. 47 l. n. 428/1990, dove il cedente Telecom Italia ha ribadito di “non procedere più alla vendita di SSC e di cedere invece alla stessa SSC, dal primo aprile 2010, il ramo d’azienda denominato IT Operations”.

Qualcuno si è chiesto quale legame strategico possa esserci fra la mancata vendita di SSC e la cessione di ramo d’azienda in favore di questa società?

Una possibile spiegazione potrebbe risiedere nei vantaggi derivanti dalla strategia della “doppia cessione” in alternativa al trasferimento diretto. Nello specifico, accade che le imprese che di fatto governano la cessione, piuttosto che effettuare un trasferimento diretto di ramo d’azienda, utilizzano società controllate che fungono da “contenitori” di attività cedute.

Tale obiettivo viene solitamente raggiunto attraverso la cessione di un ramo d’azienda da una società controllante (cedente) verso una sua controllata (cessionario), con successivo trasferimento delle quote di partecipazione di quest’ultima ad un’altra società.

Si pensi, ad esempio, ai lavoratori che Eutelia ha trasferito presso la propria controllata Agile, che è stata poi venduta, tramite cessione di quote di partecipazione, ad Omega. Il primo passaggio consiste in una cessione che integra la fattispecie di cui all’art. 2112 c.c., dato che i lavoratori ceduti risultano impiegati, per effetto del trasferimento, presso un diverso datore di lavoro. La successiva vendita delle quote di partecipazione di Agile da parte di Eutelia in favore di Omega, non da luogo, almeno secondo l’interpretazione prevalente, ad un trasferimento di azienda ex art. 2112 con la conseguenza che ai lavoratori trasferiti non è possibile applicare le tutele predisposte dalla norma. Ciò in quanto tale tipologia di cessione non realizza alcun mutamento soggettivo del datore di lavoro, dato che i rapporti di lavoro restano giuridicamente legati ad Agile.

A conti fatti, nonostante la cessione sia stata “governata” da Eutelia e Omega in ragione del controllo esercitato su Agile, nessuna delle due società ha vestito i panni del formale datore di lavoro.

Tornando al rapporto fra SSC e Telecom Italia, è ragionevole pensare che Telecom Italia abbia deciso di vincolare la vendita di SSC al trasferimento dei lavoratori per il tramite della cessione del ramo IT Operations, di modo tale che la successiva vendita in favore del futuro acquirente avvenisse senza l’applicazione dell’art. 2112 c.c. e la procedura sindacale ex art 47 l. n. 428/1990. Se per ipotesi Telecom Italia decidesse di attuare il trasferimento del ramo IT Operations dopo la vendita delle quote di partecipazione di SSC, allora il controllo sindacale previsto in materia di trasferimento di azienda si potrebbe estendere alle valutazioni circa la stabilità economico/finanziaria dell’acquirente finale che, ad ogni modo, rileverebbe un ramo di attività con 2150 lavoratori, senza assumersi le responsabilità derivanti dall’instaurazione diretta di un rapporto di lavoro. Inoltre, una volta “espulsa” la società dal gruppo, potrebbero facilmente venire meno gli impegni assunti nel piano industriale. Non solo, i contratti di appalto stipulati con Telecom Italia potrebbero essere rinegoziati nell’ipotesi in cui tale committente non reputi soddisfacente il rapporto qualità/costo delle prestazioni acquistate presso SSC. La circostanza che tale cessione sia legata ad esigenze di razionalizzazione dei costi di Telecom Italia non lascia presagire niente di buono.

Per fortuna, nella sentenza relativa all’accertamento della condotta antisindacale nella vicenda Eutelia/Agile/Omega, il giudice ha fornito indicazioni interessanti ed innovative circa il problema della tutela del lavoro nei collegamenti societari. In particolare, si è rilevato come l’acquisto delle quote di Agile da parte di Omega avrebbe dovuto costituire oggetto di informazione preventiva alle OO.SS., con la conseguenza che il mancato riferimento al ”soggetto con il quale pendevano trattative per l’acquisizione” rappresenta, appunto, condotta antisindacale. Ciò sul presupposto che la successiva negoziazione avrebbe potuto determinare “notevoli conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori”. E’ evidente, continua il giudice, “che le informazioni relative al soggetto con cui pendevano le trattative per l’acquisto delle quote erano di oggettiva rilevanza per il Sindacato, che avrebbe potuto informarsi sull’assetto di tale soggetto e sulla sua solidità, orientando conseguentemente la propria azione durante le successive fasi della procedura”. In sintesi, se il trasferimento attuato fra cedente e cessionario è finalizzato alla vendita in favore di un ulteriore soggetto economico “controllante”, indipendentemente dallo strumento giuridico utilizzato per attuare la cessione, sussiste un obbligo di informazione sindacale relativo alla stabilità economico/finanziaria del futuro “controllante” all’atto della prima cessione. Quindi, se Telecom Italia ha intenzione di cedere SSC ad un’altra azienda senza fornire alcuna informazione circa le caratteristiche del futuro acquirente nell’ambito della procedura ex art. 47, allora il sindacato potrebbe chiedere l’accertamento della condotta antisindacale che annullerebbe gli effetti della cessione nei confronti dei singoli rapporti di lavoro. Nel caso di cessioni a prevalente impiego di prestazioni di lavoro, annullare gli effetti nei confronti dei singoli lavoratori significa annullare praticamente l’intera cessione.

Sempre in tema di azione sindacale, non è da escludere che il sindacato possa chiedere, a prescindere dall’attuazione del “doppio passaggio”, l’accertamento della condotta antisindacale sul presupposto che il cedente coincide sostanzialmente con il cessionario, con la conseguenza che il destino dei lavoratori di SSC dipende esclusivamente dal potere di controllo e di governo esercitato da un soggetto giuridico, Telecom Italia, che non veste più i panni del formale datore di lavoro. Ciò potrebbe essere interpretato nel senso che Telecom Italia avrebbe omesso gran parte delle informazioni che per il sindacato sarebbero state rilevanti al fine di orientare le proprie azioni durante le successive fasi della procedura.

Inoltre, si consideri che l’efficacia dell’azione sindacale aumenta quanto più ci si avvicina ad informazioni relative alla valutazione dei requisiti di legittimità della cessione: autonomia funzionale del ramo ceduto, consistenza imprenditoriale del cessionario, eventuale soggezione al potere di controllo da parte di altre società ecc.

Per quanto riguarda le azioni individuali, l’art. 2112 rappresenta lo strumento giuridico più efficace per contrastare l’esternalizzazione, data l’enorme elaborazione giurisprudenziale riguardante le cessioni già attuate da Telecom Italia.

L’interazione, la collaborazione e lo scambio di informazioni con coloro che hanno già affrontato il percorso legale relativo all’applicazione dell’art. 2112 c.c. è fondamentale.

In breve, secondo l’orientamento prevalente, l’art. 2112 c.c. si interpreta nel senso che in caso di trasferimento di azienda o di parte di azienda i lavoratori passano automaticamente alle dipendenze del cessionario (SSC), nel senso che non è possibile decidere di restare alle dipendenze del cedente (Telecom Italia). Questo principio rappresenta una deroga all’art. 1406 c.c., secondo cui è invece necessario il consenso del contraente ceduto. Se si dimostra, in sede di giudizio, che il ramo di azienda ceduto non è dotato del requisito dell’autonomia funzionale, allora il cedente è obbligato a reintegrare il lavoratore in quanto l’automaticità del trasferimento è valida solo quando il trasferimento ha ad oggetto una entità economica che oggettivamente si presenti dotata di un’autonomia organizzativa ed economica, funzionalizzata allo svolgimento di un’attività volta alla produzione di beni o servizi.

Per la valutazione dell’autonomia funzionale del ramo ceduto, il principale documento di riferimento è l’atto di cessione, che ovviamente non è ancora disponibile dato che la cessione partirà formalmente dal 1° aprile 2010 (secondo recenti fonti il 1° Maggio).

Ad ogni modo, è possibile effettuare fin da subito una serie di interessanti riflessioni circa l’oggetto del trasferimento.

E’ già il nome attribuito al ramo che non consente di comprendere i reali termini dell’operazione. Il concetto di IT Operations è molto vasto, può riguardare complesse attività imprenditoriali in grado di produrre un autonomo risultato produttivo, oppure coincidere con una parte operativa della catena dei servizi totalmente vincolata al ciclo produttivo del committente, al punto tale da potere affermare che, di fatto, sia stato trasferito solo un gruppo di lavoratori, chiamato IT Operations, non idoneo a configurare la fattispecie di cui all’art. 2112 c.c.

La stessa Telecom Italia ha sostanzialmente affermato, in uno degli accordi siglati con le OO.SS. (28 marzo 2000), che la sua politica di sviluppo fa perno sul principio di integrazione derivante da una visione “aziendale” delle soluzioni ICT in quanto strumento idoneo all’attuazione di specifiche strategie di business, definibile come: “un insieme complesso di relazioni, di tecnologie, di applicazioni e di esigenze cui è necessario dare risposta in termini di piena integrazione”.

E’ ovvio che un elevato livello di integrazione tecnologica ed organizzativa rende difficile lo scorporo di un ramo di attività autonomo, specie se composto prevalentemente da lavoratori.

Le domande sono: la cessione in favore di SSC riguarda effettivamente un ramo di attività autonomo? Telecom Italia trasferisce tutti i mezzi materiali e immateriali di produzione necessari per consentire a SSC di gestire autonomamente il servizio di IT Operations? I lavoratori continueranno ad essere soggetti al potere di direzione e di controllo di Telecom Italia nonostante la formale cessione dei contratti di lavoro?

Secondo quanto dichiarato dall’azienda, l’operazione di cessione consentirà di separare le attività di indirizzo e progettazione informatica, che resteranno in Telecom Italia, da quelle operative che confluiranno in SSC. Si tenga conto del fatto che un ramo di attività per essere considerato autonomo deve contenere al suo interno l’attività di direzione e di controllo, idonea a consentire al cessionario di agire come vero imprenditore piuttosto che come mero interposto. Approfondimenti in tal senso sono dunque necessari.

E’ possibile avere un’idea più chiara leggendo le sezioni del dossier dedicate alla valutazione dell’autonomia funzionale dei rami di azienda ceduti da Telecom Italia.

Passando adesso ad analizzare più da vicino il problema della tutela dei lavoratori nell’ambito dei collegamenti societari, in Italia, come già accennato, non esiste una specifica disciplina, e per contrastare l’uso illegittimo dell’art. 2112 c.c. dottrina e giurisprudenza hanno fatto ricorso alle norme generali del diritto del lavoro e del diritto civile. In particolare, esiste la possibilità di potere fare dichiarare nulla la cessione qualora l’imputazione del ramo d’azienda ad una determinata società si giustifica solo in vista di un intento fraudolento. Quello che si censura in queste ipotesi è l’abuso della personalità giuridica, ossia della “alterità soggettiva che la creazione di una nuova società ha creato entro una entità soggettiva sostanzialmente unitaria”. Secondo la Cassazione (Cass., 24 marzo 2003, n. 4274), in relazione al caso concreto bisogna rivelare l’esistenza di alcuni requisiti essenziali, quali:

– l’unicità della struttura produttiva e organizzativa;

– l’integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo e il correlativo interesse comune;

– Il coordinamento tecnico e amministrativo-finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune;

– l’utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia volta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori.

Sorge spontanea una domanda: come può, a prescindere da specifiche previsioni legislative in tal senso, un’azienda agire in modo autonomo, rispettando i requisiti stabiliti dalla Cassazione, se è controllata al 100% da un altro soggetto economico?

In generale, la possibilità di potere costituire e controllare più società, spesso nell’ambito di uno stesso gruppo societario, consente una sorta di deresponsabilizzazione a chi governa di fatto le attività ed esercita su di esse il proprio potere decisionale. Questo accade sicuramente nell’ipotesi in cui una società è controllata al 100% da un’altra società, in quanto, nonostante sia evidente l’accentramento dei poteri di governo in capo alla controllante, quest’ultima non ha giuridicamente alcuna responsabilità nei confronti dei dipendenti della società controllata, in quanto si tratta di distinti centri di imputazione dei rapporti giuridici.

La Cassazione ha inoltre precisato il principio fondamentale che sta alla base delle varie forme di tutela in materia di esternalizzazione, ossia che l’individuazione di un unico centro di imputazione dei rapporti di lavoro, al di là degli schemi societari utilizzati, risponde al contenuto dell’art. 2094 c.c. che impone di individuare l’effettivo datore di lavoro, ossia colui che di fatto detiene ed esercita il potere direttivo e disciplinare nei confronti dei lavoratori. In poche parole, i rapporti di lavoro devono essere obbligatoriamente imputati all’effettivo datore di lavoro, a prescindere dal “gioco” di relazioni societarie posto in essere dalle parti.

Un altro importante aspetto legato a questa vicenda, è l’ipotesi di demansionamento avvenuto nell’ambito della cessione.

Dall’esame delle sentenze relative alle esternalizzazioni attuate da Telecom Italia, è emerso che non pochi ricorsi hanno riguardato l’ipotesi di demansionamento e qualcuna anche di mancata inerenza del lavoratore al ramo ceduto, attraverso cui i ricorrenti hanno chiesto al giudice di far dichiarare l’illegittimità della cessione del loro contratto di lavoro. Nei ricorsi accolti, risulta evidente il collegamento fra il demansionamento e il trasferimento di ramo d’azienda, che consiste nella circostanza che la sottrazione di mansioni è stata finalizzata all’inserimento in un settore di attività, a sua volta funzionale ad una successiva cessione di ramo d’azienda, e quindi anche dei lavoratori demansionati. Ci si sta riferendo all’ipotesi di demansionamento attuato prima della cessione del ramo di azienda, sicché dalla dichiarazione di nullità dell’atto posto in essere da Telecom Italia consegue il diritto del lavoratore a ritornare alle mansioni originarie presso l’impresa di provenienza. A tal proposito, si tenga conto del fatto che nel comunicato sindacale (Roma, 12 marzo 2010) si denuncia la “non rispondenza tra le attività effettivamente svolte da molti lavoratori e le recenti attribuzioni al settore in questione”. Quanto affermato rientra sicuramente, nell’ipotesi di illegittima individuazione dei dipendenti addetti all’attività da trasferire, ovviamente previa effettiva verifica da parte del giudice.

Sotto un altro punto di vista, l’azienda afferma che una volta realizzata l’operazione di trasferimento del ramo in SSC, saranno attuate operazioni di “efficientamento” per riportare il costo del lavoro a livelli paragonabili con quelli del mercato esterno…tali esigenze sarebbero determinate dalla condizione di mercato attuale, dalla persistenza di un debito importante, dalla riduzione dei margini”.

Queste dichiarazioni sono contestabili sono diversi profili.

Anzitutto, in che cosa consistono le operazioni di “efficientamento” riguardanti il costo del lavoro? Si tratta di ridurre elementi quali premi aziendali, tickets, assicurazioni ecc… o l’intenzione è quella di attuare delle riduzioni di personale? E poi, quali sarebbero i livelli del costo del lavoro relativi al mercato esterno? Quelli derivanti dalla “gestione fallimentare” di molte grandi imprese causata dall’incapacità della classe dirigente di svolgere la funzione imprenditoriale basata sulla creazione di valore? Quali sarebbero in concreto i parametri di riferimento? Oppure il termine generico “mercato esterno” è un modo come un altro per fare sostanzialmente ciò che si vuole?

Cosa c’entra, inoltre, il piano industriale di Telecom Italia, dato che l’attività è stata ceduta ad un altro soggetto giuridico, ossia SSC? Anzi, a proposito dei piani industriali di Telecom Italia, si ricorda che nel verbale assembleare relativo all’anno 2009, Telecom Italia ha dichiarato che “in occasione degli incontri sindacali di illustrazione del piano industriale 2009-2011, rispondendo a specifiche domande al riguardo, sono state escluse sia la previsione di nuove esternalizzazioni che l’intenzione di reinternalizzare attività già fatte oggetto di outsourcing”.

In ogni caso, risulta evidente che Telecom Italia si impegna ad intervenire, attraverso un penetrante potere decisorio, sulle condizioni contrattuali del personale trasferito presso la propria controllata.

Esiste, infine, un’altra importante forma di tutela dei lavoratori contro le esternalizzazioni abusive, ossia il divieto di interposizione illecita di manodopera, che oggi opera attraverso il d. lgs. n. 276/2003, nonostante l’abrogazione della l. n. 1369/1960. La legge, in sostanza, dispone che tutti i casi in cui i dipendenti dell’appaltatore siano di fatto soggetti al potere di direzione e di controllo dell’appaltante/committente, i lavoratori hanno il diritto ad essere assunti dall’effettivo datore di lavoro. Se si pone per ipotesi che il trasferimento del ramo d’azienda IT Operations sia stato legittimo, i lavoratori trasferiti, che continuano ad essere collegati a Telecom Italia tramite un contratto di appalto, possono agire in giudizio per far valere l’eventuale esistenza degli elementi caratterizzanti l’interposizione illecita di manodopera. Il giudice, in questi casi, verifica se l’appaltatore sia effettivamente dotato dei requisiti d’imprenditorialità (organizzazione dei mezzi e assunzione del rischio d’impresa), e se, ad ogni modo, l’effettivo datore di lavoro sia il committente piuttosto che l’appaltatore che abbia formalmente assunto i dipendenti.

Tutti i dettagli degli argomenti accennati sono contenuti nel dossier “Questioni di legittimità relative alle cessioni di ramo d’azienda attuate da Telecom Italia Spa”.

26 marzo 2010

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